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Alluvioni in Emilia-Romagna: perché la politica continua a fallire
Editoriali

Alluvioni in Emilia-Romagna: perché la politica continua a fallire

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Tra inefficienza, ipertrofia normativa e lezioni dimenticate di Pasolini e Manzoni

Alluvioni in Emilia-Romagna: perché la politica continua a fallire

Indice

- Introduzione: l'alluvione come metafora e realtà - Le alluvioni in Emilia-Romagna: un fenomeno ormai ordinario - Cesena, Ravenna, Bologna: i diversi volti del rischio - La gestione dei fiumi: vegetazione, incuria e criticità - La risposta politica: ipertrofia normativa e senso d'impotenza - Reagire scrivendo nuove leggi: un circolo vizioso - Pasolini e Manzoni: la lezione dei maestri dimenticata - L'eredità di Pasolini: critica sociale e rapporto con il potere - Manzoni e i disastri naturali: il valore della narrazione storica - Come uscire dalla trappola normativa? Proposte e riflessioni - Il futuro delle alluvioni in Emilia-Romagna: un'emergenza perpetua? - Sintesi finale: la necessità di tornare all'essenziale

Introduzione: l'alluvione come metafora e realtà

Nelle ultime stagioni, la cronaca italiana si è tinta frequentemente d’acqua e di fango, portandoci a parlare delle alluvioni in Emilia-Romagna non più come eventi straordinari ma come appuntamenti ricorrenti e drammatici per il territorio e le comunità locali. L'articolo odierno nasce dall’osservazione impietosa di una realtà: la risposta del sistema politico italiano di fronte a tali disastri appare segnata da un’ambivalenza, tra rassegnazione all’inevitabile e produzione sfrenata di nuove regole. In questo scenario, citare Pier Paolo Pasolini e Alessandro Manzoni non significa rifugiarsi nei classici, ma cercare chiavi interpretative per leggere, comprendere e forse modificare i processi che stanno alla base dell’inefficienza politica nelle alluvioni.

Le alluvioni in Emilia-Romagna: un fenomeno ormai ordinario

Il territorio emiliano-romagnolo si trova negli ultimi anni ad affrontare problematiche legate ai fiumi sempre più gravi e frequenti: i casi recenti di Cesena e Ravenna sono solo gli ultimi nella lunga lista di città colpite dalle precipitazioni estreme, dagli allagamenti e dai danni conseguenti. La parola "alluvione" viene ormai ripetuta quasi con fatalistica abitudine, tanto che l’attesa della prossima ondata sembra essere diventata parte delle routine amministrative e della vita quotidiana. Ravenna è rimasta pesantemente colpita, mentre Cesena è stata risparmiata quasi per caso. Al contrario, Bologna ha dovuto affrontare nel 2025 vere e proprie scene d’emergenza, con quartieri completamente invasi dall’acqua.

Il nesso fra questi eventi e il cambiamento climatico è ormai assunto come ovvio, ma la questione più urgente riguarda la gestione del rischio alluvioni e la capacità (o l’incapacità) della politica di prevenirli e limitarli. Qui entra in gioco una inefficienza che diventa strutturale, acuita anche da decenni di decisioni rimandate e di azioni superficiali.

Cesena, Ravenna, Bologna: i diversi volti del rischio

Analizzare la mappa degli ultimi episodi alluvionali in Emilia-Romagna significa raccontare storie diverse, accomunate tuttavia da una costante: la vulnerabilità. Cesena, ad esempio, nel 2025 ha evitato il peggio per una serie di fortuite coincidenze meteorologiche e grazia al lavoro di alcune squadre di pronto intervento. Ma Ravenna ha invece subito gli effetti di un evento estremo e devastante, testimoniando quanto ancora ci sia da fare in termini di pianificazione e prevenzione.

Bologna, da parte sua, rappresenta il caso di una grande città chiamata a fare i conti con l’inadeguatezza di un sistema urbano costruito senza tenere conto dei nuovi scenari climatici e dell’evoluzione delle esigenze territoriali. Vie e sottopassi trasformati in fiumi, mezzi pubblici e privati sommersi, cittadini costretti a evacuare. Questo accade perché il rischio alluvioni in Italia è sottovalutato e gestito secondo logiche emergenziali, in assenza di un vero piano organico e di una visione prospettica.

La gestione dei fiumi: vegetazione, incuria e criticità

Uno degli aspetti spesso ignorati dal dibattito nazionale, ma di primaria importanza nella gestione del rischio alluvioni, è rappresentato dalle condizioni dei letti dei fiumi. In Romagna, come in molte altre aree del paese, gli alvei fluviali sono spesso lasciati a sé stessi, ignorati tra una piena e l’altra, ingombri di vegetazione infestante, di rifiuti e detriti. Questa incuria trasforma i corsi d'acqua in bombe a orologeria pronte ad esplodere al primo rovescio consistente.

A nulla servono i proclami periodici o le campagne di pulizia straordinarie attivate solo dopo i disastri. Serve modificare radicalmente l’approccio: una manutenzione ordinaria, programmata e rigorosa, fondata sul rispetto della natura ma anche sulla conoscenza diretta del territorio. Le problematiche dei fiumi in Emilia-Romagna richiedono uno sguardo lungo e una responsabile attenzione alla prevenzione, troppo spesso sacrificata sull’altare della burocrazia o dell’inerzia amministrativa.

La risposta politica: ipertrofia normativa e senso d’impotenza

In presenza di catastrofi come le alluvioni, il primo riflesso della politica italiana è quello di produrre nuove regole e nuove leggi. Si tratta di un meccanismo che risponde più alla ricerca di rassicurazione psicologica – propria e altrui – che a una reale strategia di gestione del rischio. Ma questa ipertrofia normativa sposta di poco il problema: le regole restano spesso lettera morta, ingessate da iter applicativi complessi e da una fitta selva burocratica. La stessa inefficienza politica, che dovrebbe essere affrontata con pragmatismo e senso di responsabilità, viene invece mascherata dietro la produzione di decreti e ordinanze, il cui unico risultato tangibile sembra essere la moltiplicazione della carta e la confusione tra i soggetti coinvolti.

L’alluvione in Emilia-Romagna diventa così una storia di impotenza: si moltiplicano i tavoli tecnici e si istituiscono commissari straordinari, ma la sostanza dei problemi resta invariata. L’incapacità di coordinarsi tra livelli di governo diversi, di ascoltare i territori, di coinvolgere le comunità locali, mina in partenza qualsiasi tentativo di soluzione efficace.

Reagire scrivendo nuove leggi: un circolo vizioso

L’automatismo con cui la politica reagisce alle crisi ambientali attraverso la scrittura di nuove norme rappresenta uno dei mali endemici della governance italiana. Invece di occuparsi della manutenzione dei fiumi, della progettazione di piani idrogeologici capaci di reggere l’urto dei fenomeni estremi, si preferisce legiferare. Si confonde così l’azione con la produzione di norme, ignorando che leggi inutili sull’ambiente in Italia si stratificano e si contraddicono a vicenda, senza che qualcuna riesca davvero a rallentare lo scorrere delle acque nei giorni di pioggia intensa.

Le alluvioni recenti a Ravenna e in altri territori costringono a ripensare questo meccanismo, sostituendo la logica dell’annuncio a quella del risultato, la retorica dell’emergenza alla concretezza dell’ordinario. Senza questa inversione, la gestione del rischio alluvioni in Italia resterà sempre appesa all’evento successivo, senza capacità di imparare realmente dai disastri precedenti.

Pasolini e Manzoni: la lezione dei maestri dimenticata

Gli autori citati nel titolo, Pasolini e Manzoni, non sono solo riferimenti culturali, ma veri strumenti interpretativi. Pasolini, con la sua capacità di penetrare a fondo nella realtà italiana e nelle sue contraddizioni, aveva denunciato il rischio di ridurre la politica a una sterile produzione normativa, slegata dai bisogni reali delle persone. Manzoni, con la sua descrizione dei disastri e delle epidemie ne "I promessi sposi", ci ha consegnato la memoria collettiva di società impotenti di fronte alla natura, ma anche il monito a non ripetere gli stessi errori.

Rileggere le opere di Pasolini significa oggi interrogarsi su come il potere continua a generare parole, norme e divieti che non incidono sulla sostanza dei problemi. Tornare a Manzoni significa non perdere la prospettiva storica, la consapevolezza che la realtà è complessa ma non indecifrabile, e che la buona amministrazione si gioca proprio nella capacità di apprendere dal passato.

L’eredità di Pasolini: critica sociale e rapporto con il potere

La produzione di Pasolini – tanto nella letteratura quanto nel cinema, come nel film "Salò" – offre spunti essenziali per una lettura critica della politica italiana in rapporto ai disastri ambientali. Pasolini individuava nella distanza fra parola e azione, fra etica e prassi, uno dei grande mali nazionali. Applicare questo sguardo oggi permette di vedere come l’inefficienza politica nelle alluvioni sia la conseguenza non soltanto di incapacità tecniche, ma di una cultura politica distante dai bisogni dei territori.

Il regista/poeta avrebbe probabilmente sorriso amaro vedendo come ogni nuova alluvione in Emilia-Romagna porti puntualmente a una "liturgia" fatta di comunicati, leggi straordinarie, proclami. Il vuoto politico si riempie di regole, esattamente come nei suoi film il dramma sociale si mostrava nella sua nudità, dietro le maschere del potere. Riscoprire Pasolini significa rompere la retorica e denunciare le complessità irrisolte che, anno dopo anno, portano ai medesimi risultati.

Manzoni e i disastri naturali: il valore della narrazione storica

Anche Manzoni, con il suo sguardo severo e disincantato sui disastri naturali e le loro conseguenze sociali, ci ricorda che la narrazione dei fatti è parte integrante della responsabilità pubblica. Le pagine dedicate alla peste nei "Promessi Sposi" descrivono società travolte dall’emergenza, prive di strumenti per comprenderla e governarla. La lezione manzoniana parla all’Italia di oggi: occorre fare memoria degli errori, per non ripeterli. Il ricordo delle alluvioni diventa efficace solo se si traduce in politiche nuove, continuative e condivise.

Le alluvioni recenti a Ravenna e Cesena diventano, così, uno strumento di riflessione storica. Ogni disastro naturale dovrebbe spingere le comunità a interrogarsi sulle proprie scelte, a investire sulla prevenzione, sulla manutenzione ordinaria, sulla formazione delle nuove generazioni.

Come uscire dalla trappola normativa? Proposte e riflessioni

Affinché la gestione del rischio alluvioni in Italia esca dalla spirale dell’inefficacia, servono idee chiare e cambi di rotta decisi. Alcune proposte operative potrebbero includere:

- Piani di manutenzione ordinaria: reali, calendarizzati e finanziati per intervenire su tutti i corsi d’acqua, grandi e piccoli. - Coinvolgimento delle comunità locali: rendere i cittadini partecipi, informati e corresponsabili della tutela del territorio. - Semplificazione normativa: ridurre le leggi inutili sull’ambiente e rafforzare quelle davvero efficaci. - Formazione diffusa nell’amministrazione pubblica: personale competente e formato sulle più avanzate strategie di gestione del rischio. - Sistemi di monitoraggio e allerta precoce: investire nella tecnologia e nell’ascolto delle segnalazioni dal basso.

Solo attraverso un ripensamento delle priorità, abbandonando la rincorsa alla normativa fine a sé stessa, sarà possibile spezzare il ciclo che produce disastri ricorrenti e risposte inefficaci.

Il futuro delle alluvioni in Emilia-Romagna: un'emergenza perpetua?

Senza un’inversione di tendenza concreta, le alluvioni in Emilia-Romagna rischiano di diventare un’emergenza perpetua, un appuntamento quasi rituale con la distruzione. Continuando su questa strada, le città come Cesena, Ravenna e Bologna si troveranno sempre più esposte, fra tentativi vani di contenimento e progetti che non si traducono mai in soluzioni efficaci.

Il rischio più grande è quello di adattarsi a una "normalità disastrosa", in cui la rassegnazione prende il posto della progettualità. In questo senso, la responsabilità politica e sociale è enorme: la gestione del rischio deve diventare parte essenziale dell’identità territoriale, e non solo un capitolo dei programmi elettorali.

Sintesi finale: la necessità di tornare all’essenziale

Nell’attesa – sempre troppo breve – della prossima alluvione in Emilia-Romagna, appare chiaro come la soluzione non risieda in nuove norme ma nella capacità collettiva di riscoprire il rapporto tra uomo e territorio, tra politica e cittadini, tra passato e futuro. Rileggere Pasolini e Manzoni vuol dire chiamare in causa l’essenziale: la memoria, la responsabilità, l’efficacia dell’azione pubblica. Solo così si potrà finalmente parlare di prevenzione e non solo di reazione, di futuro e non di un eterno ritorno dell’emergenza.

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